Moon Lovers 2 (Alla conquista della Felicità) – Capitolo 3

di Donatella Perullo

Attenzione 

Il racconto contiene spoiler per coloro che non hanno visto il Drama Moon Lovers: Scarlet Ryeo.

Capitolo  3

Nello stesso istante in cui un dolore lancinante gli trafisse le tempie, uno strano odore gli invase le narici. Re Gwangjong di Goryeo provò ad aprire gli occhi, ma una nuova fitta lo indusse a desistere. Intorno a lui c’era silenzio ed era disteso su qualcosa di soffice, non la dura roccia sulla quale era rovinosamente piombato cadendo da cavallo. Si portò una mano alla fronte e sollevò di nuovo le palpebre. Era notte e la stanza era immersa nella penombra. Seppur fioca, la luce gli permise però di scorgere un ambiente alieno dal Goryeo e dal lusso del Palazzo Reale. Non c’era nessun arazzo, né paraventi o mobili intarsiati da artigiani sapienti. L’ambiente era monocromatico, il bianco dominava ogni cosa. Il bianco era il colore della modestia e della purezza dello spirito.

Lo stesso dell’abito che indossava Hae Soo il giorno nel quale si era prostrata per chiedere inutilmente clemenza al re in favore della concubina reale. L’aveva riparata dalla pioggia con il suo mantello nero e accolta tra le braccia quando, sfinita, era crollata esanime, ma non era riuscito a proteggerla. Tutto il suo amore e nulla di ciò che aveva fatto era servito a tenerla con sé, a renderla la sua regina.

Voltò la testa verso la finestra e il cuore ebbe un sobbalzo.  Il cielo era dominato dalla luna rosso sangue, la stessa che aveva scoperto essere la via grazie alla quale avrebbe potuto raggiungere Hae Soo. Si sforzò di mettersi a sedere e si guardò intorno. Che strano posto era quello? Cosa gli avevano messo addosso? Si chiese, afferrando la stoffa grezza del camice da notte.

Si portò entrambe le mani al viso e strinse gli occhi, cercando di ricordare. La Luna era la strada, l’eclisse che aveva portato Hae Soo da lui l’aveva finalmente condotto nel mondo dal quale era giunta Hae Soo? Quante volte, aveva trascorso ore, ascoltandola raccontare quanto fosse diverso il luogo da cui proveniva? Le immagini che aveva visto nella sua mente grazie a ciò che gli aveva narrato iniziarono ad affollargli i pensieri. Si guardò intorno, poi fissò ancora una volta la luna rossa. Mise le gambe giù dal letto e fece per alzarsi, ma in quel momento un uomo vestito di azzurro irruppe nella stanza.

«Signor Kim si è svegliato!» esclamò «Che cosa fa, non può alzarsi, è ancora troppo debole!»

Wang So lo guardò corrucciato: «Signor Kim? Chi è lei?»

«Si distenda, la prego.» raccomandò il medico, poi aggrottò la fronte «Non mi riconosce?»

Wang So scosse il capo: «Dovrei?»

«Sono il dottor Park, il suo medico da otto anni, da quando è divenuto CEO della Goryeo Skincare.»

Wang So guardò di nuovo verso la luna e sospirò: «Che giorno è?»

«Il 26 maggio.»

«Di che anno?»

Il medico si schiarì la gola, imbarazzato: «duemilaventuno.»

Un sorriso raggiante illuminò il viso di Wang So: «In che città?»

«A Seoul, ovviamente. Così mi fa preoccupare signor Kim. Comincio a pensare che il trauma sia peggiore di quanto pensassi. La sottoporrò a una nuova TAC.»

«Cosa mi è successo?» domandò Wang So senza distogliere gli occhi dalla Luna.

«Un incidente. Stava andando in azienda per prendere parte a un’importante riunione, ricorda?»

Wang So scosse il capo: «Che incidente?»

«Hong Ki-jo, il suo autista, ha avuto un malore, l’auto è uscita di strada ed è precipitata nel fiume Han. Il signor Hong è morto e abbiamo temuto il peggio anche per lei. Quando è arrivato in ospedale era in ipotermia e privo di conoscenza. Ho bisogno di visitarla e farle alcune domande, posso?»

Wang So ripensò ai racconti di Hae Soo e ringraziò il fato per avergli permesso di conoscere tanto di quest’epoca così diversa dalla sua. Lo avrebbe aiutato a comportarsi senza dare troppo nell’occhio.

“Tutto il suo amore e nulla di ciò che aveva fatto era servito a tenerla con sé, a renderla la sua regina.”

A quanto pare ora non era più re Gwangjong di Goryeo, ma un signor Kim qualunque. Non avrebbe potuto impedire a un medico di toccarlo, né avrebbe potuto ordinargli di dargli dei vestiti e permettergli di lasciare questo posto. Minacciarlo di morte, brandendo la sua spada era impensabile, non era più il cane lupo, ora.  Annuì paziente e permise all’altro di puntargli una pila negli occhi. Seguì e sue indicazioni poi tornò a distendersi, fingendosi arrendevole.

«Ricorda il suo nome?» domandò il dottor Park.

«Me l’ha detto lei poco fa, sono il signor Kim, CEO della Goryeo Skincare.» Non sapeva cosa volesse dire CEO, ma immaginava fosse una sorta di capo. Gli piaceva sapere di essere il capo di qualcosa chiamata Goryeo. Gli sfuggì un sorrisetto.

«Il suo nome, lo ricorda?» la voce del medico lo riportò al presente.

«Wang-so?» si buttò, consapevole di dare una risposta errata.

«Sun-hyun, lei è il signor Kim Sun-hyun, terzo figlio di Kim Sun-Pyo. Suo padre era uno degli uomini più influenti del Paese.»

«Lo sono anche io?»

«Cosa?»

«Influente»

L’espressione del dottor Park era un misto di sconforto e imbarazzo: «Beh, sì certo. Lei è un uomo molto rispettato.»

«Bene.» approvò Wang So «Voglio tornare subito a casa.»

«Questo non è possibile! Il suo cervello è rimasto privo di ossigeno per diversi minuti. Il suo cuore ha cessato di battere. Abbiamo faticato per stabilizzarla ed è un miracolo che si sia ripreso. In più è evidente che soffre di un’amnesia dovuta allo shock. Deve rimanere qui fin quando non saremo certi che si sia ripreso del tutto.»

Wang So sapeva che opporsi non sarebbe servito a nulla. Era necessario fingersi accondiscendente e giocare d’astuzia.

«Mi sento stanco. Possiamo rimandare tutto a domattina?»

«Certo, come vuole. Avviserò la sua famiglia che si è svegliato. Sua madre e la sua fidanzata saranno sollevate di saperlo.»

Wang So s’irrigidì: «La mia fidanzata? Go Ha-ji?» domandò speranzoso.

Il medico arrossì imbarazzato: «La sua fidanzata è la signorina Lee Si-eun, sin dai tempi dell’università.»

Wang So annuì, sarebbe stato troppo facile se Hae Soo fosse stata la sua fidanzata in questo tempo. Doveva trovarla al più presto e per farlo doveva essere libero di agire. Guardò di nuovo verso la luna rossa e sospirò: «Ho bisogno di dormire. Mi lasci solo, la prego.»

Il medico accennò un inchino ossequioso e si allontanò verso la porta: «Sarò qui tutta la notte, per chiamarmi le basterà premere il campanello accanto al letto.»

«Vada pure.» lo incitò con un gesto della mano Wang So e chiuse gli occhi, fingendosi sfinito.

Attese che l’altro fosse uscito, poi si mise a sedere e si guardò intorno. Un piccolo armadio sulla parete opposta al letto attirò la sua attenzione. Un ago collegato a una flebo gli perforava l’incavo del gomito. Lo stappò via e si avvicinò all’armadio. Aprì l’anta e imprecò, nessun abito, solo un contenitore di pelle rovinato dall’acqua. Lo aprì e vide che era pieno di soldi ancora umidi e quelle che Hae Soo gli aveva descritto come carte di credito. C’era anche un documento che riportava i suoi dati. Ora era Kim Sun-hyun, nato il 17 aprile del 1991. Kim Sun-hyun, si sarebbe mai abituato a quel nome?

Stringendo in pugno il bottino, si avvicinò alla porta e la socchiuse. Sbirciò verso il corridoio e vide che era libero, allora si fece coraggio e lasciò la stanza. Doveva trovare dei vestiti e andare via al più presto da lì.

Fine terzo capitolo

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Moon Lovers 2 (Alla ricerca della Felicità) – Fanfiction

Questa fanfiction è liberamente ispirata al Drama Coreano Moon Lovers: Scarlet Ryeo. È frutto del lavoro e dell’intelletto dell’autrice. Il suo contenuto è protetto dal diritto d’autore nonché dal diritto di proprietà intellettuale. Sarà quindi assolutamente vietato copiarla, riprodurla, appropriarsene e ridistribuirne i contenuti se non espressamente autorizzati dall’autrice. Fatti e persone descritti nella Fanfiction sono frutto dell’immaginazione. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Copyright © 2021 Korean Drama & World. All rights reserved

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Moon Lovers 2 (Alla conquista della Felicità) – Capitolo 2

di Donatella Perullo

Attenzione 

Il racconto contiene spoiler per coloro che non hanno visto il Drama “Moon Lovers: Scarlet Ryeo”.

Capitolo 2

Singhiozzando disperata, Go Ha-jin si accasciò dinanzi all’antico ritratto di re Gwangjong di Goryeo. Da quando si era risvegliata dal coma, era trascorso un anno. Da allora non era passato giorno senza che una tristezza latente e perniciosa la tormentasse. Una mestizia che le riportava alla mente immagini sempre più nitide di una vita che non era possibile avesse vissuto. Un’esistenza che invece sentiva sua più di ogni altra cosa. Medici, parenti e amici avevano fatto di tutto per convincerla che ciò che la torturava non erano memorie ma illusione onirica.

«Ha-jin tutto ciò che ricordi sono sogni lucidi.» le aveva detto la psicologa durante una delle ultime sedute «Una sorta di strategia che il tuo cervello ha messo in atto per difendersi dal trauma subito e favorire il recupero. Tu stessa hai ammesso di amare i Drama Storici. Così, per superare quel momento orribile, ti sei creata una realtà nella quale avresti amato vivere. In questo modo hai concesso tempo all’organismo per recuperare le forze e risvegliarsi.»

Lei l’aveva guardata scettica e aveva ribattuto con un fil di voce: «Se conoscesse i dettagli di ciò che ricordo, non credo la penserebbe così. Ho sofferto troppo e ho affrontato così tante difficoltà.» sospirò «Ho sentito dolore e non solo fisico, che razza di difesa crede sia?»

«Hai riportato nel sogno le sensazioni di disagio fisico provocate dalle conseguenze dell’incidente. Il tuo inconscio le ha trasformate in un vissuto fittizio nel quale hai trascinato le sofferenze del tuo organismo e le paure della mente. Il fatto che alcune delle persone presenti negli avvenimenti che credi di ricordare abbiano il volto di persone che conosci, ne è la prova. Non hai detto, ad esempio, che il quattordicesimo principe, Wang Jung, aveva lo stesso aspetto del tuo più caro amico, Do-hyun? Anche la presidentessa dell’azienda per la quale lavori, se non erro, me l’hai descritta come somigliante alla regina consorte.»

Ha-jin aveva abbassato gli occhi e aveva provato a ribattere: «È vero, Do-hyun somiglia tantissimo al quattordicesimo principe, ma la presidentessa della Heal Cosmetics non conta. L’ho vista per la prima volta solo quando, dopo la convalescenza, ho affrontato l’ultimo colloquio di lavoro con l’azienda. Quel giorno per poco non svenni per lo shock. Quelle sono le uniche persone che posso collegare a quello che lei, dottoressa, chiama il mio sogno lucido.» era tornata a sollevare lo sguardo e dopo qualche istante di silenzio, con cipiglio affranto era sbottata: «Lui no, lui era…» lo sguardo della psicologa, però, l’aveva bloccata. Se avesse ancora raccontato i dettagli di quell’amore, l’avrebbe di nuovo mandata dallo psichiatra perché le desse i farmaci.

«Wang So non esiste» si era detta perciò «la dottoressa ha ragione, è stato tutto un sogno. Nessuno di loro era reale e non ha importanza quanto mi riesca difficile crederlo. Devo tornare alla realtà, alla mia vita e al mio lavoro.» Aveva annuito e un sorriso triste le aveva increspato le labbra, poi aveva detto: «Lui era il risultato di ciò che avevo desiderato prima dell’incidente. Un uomo leale e forte, capace di amarmi sopra  ogni cosa. Tutto ciò che non avevo trovato in quel traditore del mio ragazzo. Ha ragione dottoressa, un uomo così non può essere reale, me ne farò una  ragione.»

“Lei non voleva dimenticare, anzi! Il suo terrore era che quella voce profonda, quello sguardo e quel viso pian piano divenissero evanescenti.”

L’altra aveva gonfiato il torace, soddisfatta, e le aveva preso le mani fra le sue: «Il tuo corpo è guarito del tutto Ha-jin e finalmente anche il tuo animo ha trovato la strada giusta. Vedrai che d’ora in poi tutto sarà più semplice per te. Devi dimenticare ciò che hai sognato e cancellare quei volti e quelle sensazioni.»

Da quella seduta erano trascorsi sei mesi e otto giorni. Non era voluta tornare mai più da una psicologa che non era riuscita a capire quale fosse il suo reale tormento.

Spirando tra le braccia di Wang Sung, l’ultimo desiderio era stato quello di perdere memoria di ogni cosa, nonostante lui la pregasse di non farlo. Ora sapeva che negli ultimi istanti in quel mondo aveva mentito. Lei non voleva dimenticare, anzi! Il suo terrore era che quella voce profonda, quello sguardo e quel viso pian piano divenissero evanescenti. Era atterrita all’idea che Wang So, il suo profumo e la sensazione delle sue mani forti che le cingevano i fianchi, svanissero. Ormai gli unici momenti piacevoli erano quelli in cui riusciva a stare sola. Allora chiudeva gli occhi e immaginava di essere ancora nel Palazzo di re Tajeo, accanto al suo grande, tormentato amore.

Quella mattina era stata la sua amica Ki-jo a convincerla ad andare al lavoro. Il Goryeo Era Makeup Culture era un evento da non lasciarsi sfuggire, le aveva detto, e la Heal Cosmetics avrebbe pagato loro gli straordinari. La mostra sarebbe stata dedicata al periodo Goryeo. Era in quell’epoca che erano stati creati i primi prodotti di bellezza. In quei giorni, una dama misteriosa aveva dato vita alla prima skincare coreana, che sarebbe poi divenuta famosa in tutto il mondo. Quando sentiva quei racconti, cercava di convincersi di non essere stata lei quella dama misteriosa. Si diceva di continuo di non aver cambiato lei il destino di un sovrano, aiutandolo a nascondere la cicatrice che gli deturpava il viso.

Aveva avuto una mattinata dura e si era allontanata dallo stand per bere una bibita fresca. Stava tornando dal bar quando la sua attenzione era stata attirata da una galleria che esponeva dipinti dell’era Goryeo. Era illuminata da luci calde che mettevano in risalto antiche chine, opere di un’epoca lontana. La stessa che lei sentiva ancora così viva dentro si sé.

Non avrebbe mai creduto di trovare in quel luogo le risposte a ogni sua domanda. Mai avrebbe potuto immaginare che in quell’ambiente quieto e solitario, sarebbe deflagrata l’esplosione più devastante per il suo animo già fragile.

Ora era lì, con le lacrime che le rigavano il volto e la voce rotta dal pianto che cantilenava: «Perdonami per averti lasciato solo, perdonami per averti lasciato solo…»

Non era stato un sogno. Lo aveva sempre saputo, il suo cuore ne era certo e i suoi sensi lo avevano gridato sin dal primo istante.

Una mano pietosa le offrì un fazzoletto. Lo prese senza preoccuparsi di apparire patetica agli occhi di un estraneo. Tutto ciò che riusciva a sentire era il proprio dolore. Si asciugò le gote e nel farlo un profumo speziato le invase le narici, spezzandole il fiato. Quel profumo, il suo profumo!

Intontita, allontanò il fazzoletto dal viso e lo guardò. Era blu, un normalissimo lembo di cotone eppure aveva qualcosa di speciale, era intriso del profumo che solo la pelle del suo Wang So aveva. Guardò dietro di sé per vedere chi glielo avesse offerto e vide un uomo di spalle oltrepassare la porta secondaria della sala. Fece per chiamarlo, ma in quel momento due individui le si avvicinarono trafelati:

«Conosce quell’uomo?» chiese il primo, mentre l’altro si lanciò all’inseguimento del fuggitivo.

Go Ha-jin si sollevò e guardò di nuovo il fazzoletto, poi il dipinto e senza staccare gli occhi dal viso ritratto rispose: «No, ma so che devo trovarlo.»

Fine secondo capitolo

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Moon Lovers 2 (Alla ricerca della Felicità) – Fanfiction

 

Questa fanfiction è liberamente ispirata al Drama Coreano Moon Lovers: Scarlet Ryeo. È frutto del lavoro e dell’intelletto dell’autrice. Il suo contenuto è protetto dal diritto d’autore nonché dal diritto di proprietà intellettuale. Sarà quindi assolutamente vietato copiarla, riprodurla, appropriarsene e ridistribuirne i contenuti se non espressamente autorizzati dall’autrice. Fatti e persone descritti nella Fanfiction sono frutto dell’immaginazione. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Copyright © 2021 Korean Drama & World. All rights reserved

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Moon Lovers 2 (Alla conquista della Felicità) – Capitolo 1

di Donatella Perullo

Capitolo  1

Attenzione 

Questa Fanfiction contiene spoiler per coloro che non hanno visto il Drama “Moon Lovers: Scarlet Ryeo”.

Il padiglione del Goryeo Era Makeup Culture era affollato di visitatori. La mostra era divisa in due sezioni. Nella prima, le maggiori aziende della skincare e del makeup mostravano i loro prodotti più innovativi, offrendo anche trattamenti gratuiti. L’altra era dedicata, invece, alla storia della cosmesi. Qui, centinaia di persone ascoltavano dalle guide storie remote, osservando oggetti e dipinti risalenti a un’epoca che aveva cambiato il Paese. Un’era che era stata governata da un re saggio e triste, un sovrano che aveva nascosto nel suo cuore un dolore insanabile.

L’ombra sgusciò sfuggente tra la folla ed entrò nella galleria dove erano esposti dipinti dell’era Goryeo. Un gruppo guidato ne era appena uscito, l’ambiente era silenzioso e profumava di azalee e rose. Alle pareti chiare erano affissi antichi disegni che raffiguravano momenti di vita e visi ormai dimenticati, volti che per lui erano stati famiglia.

Una donna era in piedi, sola, dinanzi al ritratto del re. Gli dava le spalle, ma nonostante ciò Wang So la riconobbe e le gambe gli tremarono tanto che dovette appoggiare le spalle al muro per sorreggersi.

Erano trascorsi ventisei anni dal giorno in cui lei era morta, ventisei anni durante i quali aveva fatto di tutto per essere un re giusto e non mostrare il tormento che lo straziava. La perdita della sua Hae Soo lo aveva distrutto. Se solo avesse letto le lettere che gli aveva inviato. Se quello stupido di Wang Jeong non avesse messo la sua scrittura sulle buste, se solo…

Si rivide stringere tra le mani una fredda urna cineraria, anziché il volto tenero di lei e il respiro gli si spezzò di nuovo, esattamente come allora. Non doveva più pensare a quei momenti, nulla aveva più importanza ora, perché alla fine ci era riuscito. Aveva trovato il modo.

Aveva attraversato il tempo e lo spazio per riabbracciare l’unica donna che avesse mai amato. Lei era la sua persona, la sua unica regina!

Un cammino lungo 1046 anni, un viaggio che chiunque avrebbe ritenuto impossibile, ma non lui. L’aveva giurato a lei e a se stesso. Ci aveva creduto fino in fondo e alla fine aveva scoperto il segreto custodito dall’astronomo Choi Ji-mong.

Così, il quattro luglio del 975, all’età di cinquant’anni, aveva lasciato per sempre Goryeo per raggiungere finalmente la sua Hae Soo.

“Se non siamo dello stesso mondo … ti troverò, mia Soo!”

Chiuse gli occhi e sospirò. Quand’era partito non sapeva come avrebbe fatto a trovarla in un tempo così diverso dal suo. Nonostante lei gliene avesse parlato tanto, non riusciva a immaginare il suo mondo, quello dal quale era arrivata per illuminare il suo cuore nero, il cuore del Cane lupo.

Dalla colonna dietro la quale si era nascosto, Wang So osservò Hae Soo. Era minuta e fragile come la ricordava. Liberi dalle costrizioni di antiche acconciature, i lunghi capelli corvini le sfioravano le spalle, sciolti e fluenti.

Lui strinse gli occhi e cercò dentro di sé il coraggio necessario ad avvicinarla. La memoria lo riportò al crepuscolo del giorno in cui il suo ottavo fratello era morto. Baek-ha lo aveva raggiunto nel cortile del Palazzo e dopo avergli riferito la notizia, aveva annunciato la sua partenza.

Era stato allora che ancora una volta aveva sentito che con Hae Soo aveva perso tutto. Si era toccato il volto indurito dal dolore e aveva giurato a lei e a se stesso: “Se non siamo dello stesso mondo … ti troverò, mia Soo!”

Ora che quella promessa l’aveva mantenuta, perché quell’ultimo passo gli sembrava impossibile da muovere? Riaprì gli occhi e li posò di nuovo su di lei. Era ancora ferma dinanzi al quadro che lo ritraeva. Mille domande lo assillarono. Lo avrebbe riconosciuto? Si sarebbe ricordato di lui? Come avrebbe reagito?

Ebbe paura delle possibili risposte e fu tentato di fuggire e tornare a cercarla quando si fosse sentito meno insicuro, ma poi notò un tremore scuoterla. Senza neanche rendersene conto lasciò l’ombra che lo aveva celato e mosse qualche passo verso di lei.

Hae Soo si copriva la bocca con una mano per soffocare singhiozzi disperati. La sua afflizione era così straziante che Wang So si sentì morire.

«Perdonami per averti lasciato solo», gemeva tra i singulti.

Wang So annullò l’ultimo brandello di distanza che li separava, deciso a stringerla in un abbraccio, ma un grido alle sue spalle lo gelò.

«Eccolo! L’ho trovato! È nella sala dei dipinti!»

Il re imprecò a denti stretti: «Aish», poi pensò: “non ora, non ora!”. Non dovevano prenderlo, non prima che fosse riuscito a parlarle e a riabbracciarla. Infilò una mano nella tasca della giacca e prese un fazzoletto. Non era della seta delicata che avrebbero meritato le sue guance morbide, ma glielo porse egualmente, restando alle sue spalle, senza che potesse scorgerlo in viso.

Hae Soo accettò il gesto d’istinto e quando, prendendo il fazzoletto, gli sfiorò inavvertitamente le dita, Wang So sentì un brivido percorrergli la schiena.

«Fate presto o scapperà!» gridò di nuovo la voce.

Non poteva fare altro che fuggire, proprio ora che l’aveva ritrovata. Adesso che avrebbe potuto finalmente vedere di nuovo il suo sguardo d’onice, era costretto ad andare via. Guardò verso l’uscita della sala e vide tre uomini correre verso di lui. Hae Soo si stava asciugando le lacrime e non si era accorta di nulla. Lui le sfiorò appena i capelli lucenti e sussurrò «Ti ho ritrovata, mia regina e non ti perderò mai più», poi si dileguò, prima che lei potesse vederlo in volto

Fine primo capitolo

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Moon Lovers 2 (Alla ricerca della Felicità) – Fanfiction

Questa fanfiction è liberamente ispirata al Drama Coreano Moon Lovers: Scarlet Ryeo. È frutto del lavoro e dell’intelletto dell’autrice. Il suo contenuto è protetto dal diritto d’autore nonché dal diritto di proprietà intellettuale. Sarà quindi assolutamente vietato copiarla, riprodurla, appropriarsene e ridistribuirne i contenuti se non espressamente autorizzati dall’autrice. Fatti e persone descritti nella Fanfiction sono frutto dell’immaginazione. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Copyright © 2021 Korean Drama & World. All rights reserved

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Il Bulgasari (불가사리)

l’essere immortale affamato di metallo, nato dai chicchi di riso

di Gabriele Discetti

Il Bulgasari è un mostro leggendario, la cui origine risale agli ultimi anni del periodo Goryeo (918-1392).

Nonostante il suo aspetto spaventoso, simile a un cane di grossa taglia con una proboscide, il Bulgasari era spesso dipinto sui paraventi o sui camini. Ciò perché si riteneva offrisse protezione dagli incendi e altri disastri. Secondo alcune leggende, il Bulgasari ha il corpo di orso, naso e orecchie di elefante, occhi di rinoceronte, coda da bovino, zampe di tigre e il pelo acuminato.

Una volta in Corea gli incendi erano piuttosto comuni e potevano causare ingenti danni, perché le tipiche case orientali erano principalmente di legno.

Il Bulgasari è presente nel Songnamjapji (Raccolta di racconti di Songnam) risalente al tardo Joseon (1392-1897). Nel brano “Gli ultimi anni di Songdo” si narra di un mostro che aveva divorato tutto il metallo della capitale di Goryeo, cioè Songdo. Gli abitanti tentarono in tutti i modi di ucciderlo, ma invano. Neanche buttarlo vivo nel fuoco servì. Anzi, avvolto dalle fiamme, il Bulgasari uscì dal fuoco e bruciò tutte le case circostanti. Per tale ragione chiamarono l’essere Bulgasari, che letteralmente significa “Impossibile da uccidere”.

Il Bulgasari è presente in tante leggende diverse tra loro per alcuni particolari. La sua storia si lega anche alla vicenda dell’arresto dei monaci buddhisti durante il periodo Goryeo.

I Bulgasari in un’antica raffigurazione – collezione privata

Si racconta che dopo la promulgazione di una legge ordinante l’arresto dei monaci buddhisti, uno di essi trovò rifugio presso l’abitazione della sorella. Tuttavia lei suggerì al marito di denunciarlo alla polizia per impossessarsi di tutti i suoi averi. L’uomo anziché denunciare il monaco, uccise la moglie e liberò il monaco.

Durante il periodo passato nascosto nell’armadio della sorella, il monaco aveva creato un mostro con i chicchi di riso. Per nutrirlo, gli aveva dato da mangiare aghi di metallo. Finiti gli aghi, il mostro uscì dalla casa per mangiare qualsiasi oggetto di metallo, diventando sempre più grande. A un certo punto il governo dovette prendere provvedimenti. Tentarono di catturarlo, ucciderlo con spade e frecce, infine si provò col fuoco. Tutti i tentativi furono inutili.

Il Bulgasari in una raffigurazione di un racconto popolare

In alcune varianti della leggenda il mostro fu ucciso da un eminente monaco buddhista, come a simboleggiare la riappacificazione tra il credo e il governo.

Anche un’altra storia legata al Bulgasari ha come protagonista un monaco buddhista.

Il monaco aveva ricevuto una profezia da un divinatore che prevedeva per lui la nascita di cento figli. L’uomo cominciò così a legarsi con le donne che giungevano al tempio per pregare. Arrivato a novantanove figli, il monaco tentò di violentare la moglie di un ministro, finendo così nella lista dei ricercati. Divenuto fuggitivo si rifugiò a casa della sorella e da questo punto la leggenda segue il corso della più comune storia riportata sopra.

Il Bulgasari è conosciuto anche come Hwagasari, tradotto “Ucciso dal fuoco”. Il motivo di questa discrepanza tra l’essere immortale e l’essere, invece, vulnerabile al fuoco è dovuto a un’altra variante della leggenda. In essa il mostro è effettivamente ucciso tra le fiamme. Il Bulgasari fu attirato con un rottame di metallo, gli fu incendiata la coda e morì carbonizzato.

Stando a un’altra versione della leggenda, il Bulgasari fu creato dal monaco buddhista per ringraziare il marito della sorella, il quale aveva preferito uccidere la moglie, invece di consegnarlo alla polizia.

Sta di fatto che, nonostante le differenze tra le storie, un elemento resta costante, cioè il tradimento della sorella. Il racconto è un ammonimento all’avidità che distrugge finanche i rapporti familiari. Se invece allarghiamo l’orizzonte al periodo storico, la leggenda del Bulgasari ucciso dalle fiamme può essere vista come una metafora che indica la fine di una dinastia (Goryeo) e l’inizio di una nuova (Joseon).

Il bassorilievo raffigurante Bulgasari sito presso il padiglione Gyeonghoeru del Palazzo Gyeongbokgung

Finóra ancora nessun korean drama ha avuto un Bulgarari come protagonista e neanche come antieroe. Qualche mese fa una notizia anticipava la probabile uscita di un Drama fantasy incentrato su una rivisitazione di questa creatura mitologica. Nulla però è stato ancora confermato.

Fonti (1); (2); (3) Fonti foto: (4); (5)

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Habaek(하백)

il dio dell’acqua
La figura mitologica che ha ispirato il manhwa e il drama “La sposa di Habaek”

di Gabriele Discetti

Habaek, conosciuto anche come Pungyi o Bingyi, è il dio del fiume Amnok, confine naturale tra la Corea e la Cina insieme al fiume Tumen. Questa è l’interpretazione più diffusa, che vede Habaek come divinità della civiltà di Goguryeo e legata all’elemento dell’acqua. Tuttavia secondo alcune fonti meno note, egli potrebbe invece essere il dio Sole.

La figura di Habaek servì a Goguryeo per creare una discendenza divina della propria dinastia reale e legarla anche al regno di Buyeo.

Si narra che il dio dell’acqua avesse tre figlie: Yuhwa, Wuihwa e Hweonhwa. Un giorno, mentre si bagnava nell’acqua del fiume, Yuhwa, la maggiore, si imbatté in un giovane che guidava un carro trainato da cinque draghi. Era Hae Mo-su, il figlio del cielo. I due si innamorarono e decisero di sposarsi, senza che Yuhwa chiedesse il permesso a suo padre. Ovviamente Habaek esplose di rabbia per il gesto oltraggioso di Yuhwa e sfidò Hae Mo-su a un duello basato sulle metamorfosi. Habaek si trasformò in una carpa poi in un cervo e infine in una quaglia. Fu battuto, però, tutte le volte da Hae Mo-su che dapprima si trasformò in una lontra, poi in un lupo, quindi in un falco. Sconfitto nella sfida che egli stesso aveva scelto, il dio dell’acqua non poté far altro che acconsentire alle nozze.

Un’antica rappresentazione del dio Habaek

Nonostante il matrimonio potesse essere celebrato con la benedizione del padre, Yuhwa decise di abbandonare il carro di Hae Mo-su prima di ascendere al cielo. Quando però Yuhwa tornò dal padre, questi, nuovamente umiliato dal comportamento della figlia, la condannò all’esilio sul fiume Donbuyeo e a una vita mortale.

I pescatori della zona liberarono Yuhwa portandola da re Geumwa, il sovrano locale. Qualche tempo dopo Yuhwa, che era già incinta di Hae Mo-su, diede alla luce Jumong, destinato a diventare re Dongmyeong, il fondatore di Goguryeo. Habaek era dunque il nonno materno di Jumong. Hae Mo-su fondò invece il regno di Buyeo, a nord di Goguryeo. Questa leggenda servì al sovrano per unificare le terre a nord e creare il grande regno di Gogureyo, che durò ben sette secoli (37 a.C. – 668 d.C.).

L’elemento a cui questo dio è legato, l’acqua, era di vitale importanza per la civiltà di Goguryeo. Per evitare che le inondazioni arrecassero danni alle colture, erano di frequente sacrificate vergini in onore di Habaek. Pare fossero offerte donne anche per ingraziarsi il dio e superare facilmente il fiume da lui protetto.

Habaek nel manhwa di Yoon Mi-kyung – Fonte (1)

La posizione del fiume Amnok rende la figura di Habaek presente sia nella cultura coreana sia in quella cinese. In Cina è conosciuto però come Hebo o come Bingyi, nome che coincide con quello utilizzato talvolta anche in Corea. Da fonti cinesi sappiamo che sua moglie era Bokbi, anch’ella divinità dell’acqua, che diede alla luce le tre figlie. Secondo alcune leggende cinesi Habaek era originariamente un essere umano. Queste fonti sono però lontane dalla tradizione coreana. Esse legano infatti la divinità dell’acqua cinese al Fiume Giallo, allontanandosi dunque dalla posizione che danno al mito i coreani, cioè il fiume Amnok. Sarebbe sbagliato quindi considerarli entrambi come parte della tradizione culturale coreana.

Habaek non unisce solo Corea e Cina, ma come spesso accade la cultura coreana si intreccia inevitabilmente con quella giapponese. In Giappone esiste il Kappa (o Kawatarō), divinità dell’acqua nipponica, a cui ci si riferisce seppur di rado col nome “habaek”, o fantasma dell’acqua. Habaek, Hebo e Kappa appartengono alla stessa famiglia di divinità indicate col termine suijin (letteralmente dio dell’acqua), comune a tutt’e tre le culture.

Habaek nel manhwa di Yoon Mi-kyung – Fonte (1)

A partire dall’aprile 2008 è stato pubblicato un manhwa, oggi ormai concluso, intitolato La sposa di Habaek (하백의 신부). Nel manhwa di Yoon Mi-kyung racconta la storia d’amore tra il dio dell’acque e una vergine sacrificale.

Quando la siccità sta rendendo aride le terre, una vergine viene offerta al dio Habaek per ottenere la sua grazia. Proprio come avvenivano i sacrifici nell’antichità, la ragazza di nome Soa è posta su una barca e lasciata alla deriva. Dopo una tempesta, la giovane si risveglia nel mondo di Habaek, scoprendo con grande stupore che il grande dio delle acque ha il corpo di un bambino. Tuttavia di notte egli si trasforma in un affascinante giovane. Il dio decide di celare la sua identità notturna alla donna, fingendosi un parente di nome Mui. Habaek è suo malgrado vittima di una maledizione della sua prima moglie deceduta, Nangbin.

Quando conosce meglio Soa, se ne innamora e le rivela la sua identità. Habaek è però ancora legato al ricordo della defunta moglie. Così quando scoprirà che potrebbe essere ancora viva, la relazione del dio con Soa si complicherà non poco.

Il poster del Drama “La sposa di Habaek”

Il Manwa ha riscosso grande successo, tanto che nel 2017 è stato trasposto in un omonimo Drama che rivisita la storia in chiave moderna. Interpretato da  Nam Joo-Hyuk , nei panni di Habaek e  Shin Se-Kyung in quelli di So-Ah, The Bride of Habaek è attualmente visibile su Viki.

Fonti: (1) (2) (3)

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Kiss Goblin (키스요괴)

Una storia delicata e romantica condita di magia

di Donatella Perullo

Titolo: Kiss Goblin (키스 요괴)

Genere: web drama fantasy/romance

Dove vederlo: in streaming su Viki

Sceneggiatura e regia:  Kim Tae Wook

Paese di produzione: Corea del Sud

Numero episodi: 12

Durata per episodio: 10/15 minuti circa

Anno di trasmissione : 2020

Main Cast:

Bae In-hyuk (Ban SookGoblin)

Jeon Hye-won (Oh Yeon-ah)

Lee Jung-min (Regina dei Goblin)

Jang Eui-soo (Esorcista)

Lee Se-hee (Yoon Sul-hee)

Moon Ji-yong (Ji Seung-heon)

Oh Yeon-ah è una studentessa universitaria che ha appena subito una delusione amorosa. Per questo è arrabbiata con il genere maschile e non ha intenzione di innamorarsi. Una sera, mentre è impegnata nel suo lavoro part-time, vede una coppia baciarsi. Qualche ora dopo, tornando a casa, scorge lo stesso ragazzo baciare Yoon Sul-hee, la sua amica del cuore. Inferocita, si avvicina al giovane e lo schiaffeggia, non immaginando che in realtà lui è Ban Sook, un Goblin.

Ban Sook ha un solo desiderio, dopo oltre centosessanta anni di vita solitaria vuole diventare umano. Per riuscirci deve baciare dieci ragazze e imparare attraverso ognuna di loro uno dei sentimenti umani. La missione sembra facile però, man mano che Ban Sook inizia a provare emozioni, incontra sempre più difficoltà. Per fortuna continua a incrociare la temeraria Yeon-ah. I due diventano amici e quando farà la sua comparsa il terribile esorcista che vuole uccidere Ban Sook, la ragazza farà di tutto per difenderlo.

Per Yeon-ah e il bellissimo Ban Sook passare dall’amicizia all’amore è facile, ma riuscirà la strana coppia a conquistare il suo lieto fine?

“Come il tramonto sul pelo dell’acqua tu ti sei avvicinata, gentile e bellissima” (Ban Sook)

Un web drama è una serie breve, lunga poco più di un film, divisa in puntate di massimo quindici minuti e realizzata per essere vista attraverso il web. Kiss Goblin è, per l’appunto, un web drama. È uscito il 28 luglio 2020 ed io l’ho scoperto per caso, girando in rete.

Kiss Goblin è un urban fantasy romantico e divertente, poco impegnativo per durata e trama e l’ho trovato davvero carino. Ottimo come intermezzo tra un Drama più corposo e l’altro oppure per rilassarsi in una giornata uggiosa. La storia d’amore tra il bel Goblin e la giovane Yeon-ha è fresca, divertente e dolce al punto giusto. Insomma, non è un capolavoro ma è un racconto soft che vi consiglio.

La trasformazione del carattere del Goblin man mano che fa suoi i sentimenti umani è ben descritta. Lo è anche la descrizione della presa di coscienza dei sentimenti reciproci da parte dei due protagonisti.

Gli attori sono tutti giovani e ancora poco conosciuti, ma credo che Bae In-hyuk farà strada.  È diventato abbastanza popolare all’inizio del 2020 con il suo ruolo nel web drama “XX “. È molto carino e abbastanza espressivo, inoltre sarà protagonista del drama fantasy  My Roommate is a Gumiho la cui uscita è prevista per il 2021. Peciò sono certa che sentiremo ancora parlare di lui.

“Se l’amore avesse una temperatura, la nostra sarebbe 99°, solo un grado al di sotto del punto di ebollizione. Non può bollire, non può evaporare. La nostra temperatura aumentò verso l’amore, ma non bollì mai.” (Oh Yeon-ha)

Anche Jeon Hye-won che interpreta la protagonista è agli inizi della carriera, anche se ha avuto ruoli di supporto in drama come Because this is my first life.

Il supporting cast di Kiss Goblin funziona, a partire da Ji Seung-heon il second lead, interpretato da Moon Ji-yong. Il suo è un personaggio che suscita tenerezza e spinge a fare il tifo anche per lui. Il temibile, ma non troppo, esorcista è impersonato da Jang Eui-soo forse l’attore con più esperienza in questo cast. Jang Eui-soo di recente è stato protagonista di diversi drama tra cui il web drama B/L sudcoreano Where Your Eyes Linger che è possibile vedere su Viki.

La mia valutazione
8/10
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Jeoseung Saja (저승 사자)

Il Cupo Mietitore, il messaggero della morte in bilico tra i due mondi

di Maria De Riggi

Jeoseung SajaCredit immagine: Opera dell’artista nekoyasha89 ©

La cultura popolare coreana affonda le sue radici nello sciamanesimo, un insieme di tradizioni, conoscenze e credenze che provengono dai popoli nativi di tutto il mondo.

Si racconta che i primi capi della Corea avessero qualità sciamaniche o che discendessero dagli sciamani

Gli antichi coreani seguivano un concetto animistico e credevano che ogni oggetto avesse un’anima. I rituali sciamanici includevano il culto degli spiriti e dei demoni che, secondo la loro visione, abitano ogni elemento della natura. Tramite figure soprannaturali come i fantasmi, i goblin, le kumiho, i qilin… hanno cercato di dare un significato a ciò che accade nel mondo. Questo è il motivo per cui la cultura coreana riflette la concezione dell’unione tra il mondo umano e quello spirituale.

Jeoseung Saja –  Credit Immagine: Museo Nazionale della Corea

Attraverso studi, riflessioni e ricerche si tenta di dare una spiegazione alla vita e soprattutto alla morte che nel corso del tempo, ha acquisito un significato e un valore diverso. Piuttosto che rappresentarla in maniera spaventosa, l’immagine cambia, si sviluppa, fino a divenire una guida che accompagna le anime nell’adilà.

Negli ultimi anni molti drama hanno affrontato tale tematica, delineando il messaggero della morte come un essere ambivalente in bilico tra i due mondi.  Dotato di una particolare umanità, egli va oltre al ruolo di guida degli inferi. Spesso è dotato di una bellezza affascinante.

Grazie all’immaginario fantastico che spesso attinge l’ispirazione dai miti, si evidenzia una sorta di continuità tra vita e morte.

Di solito per il credo buddista di cui è impregnata la cultura orientale, la vita è rappresentata attraverso un concetto che la rende simile a un’energia. Questa forza si sviluppa, si trasforma e si reincarna fino a completare un percorso che porterà all’Illuminazione finale. Con la morte la coscienza si stacca dal mondo materiale e l’anima risorge nella dimensione spirituale. Nel momento in cui ritorna alla vita, precipita nuovamente nel mondo materiale. Questo ciclo di reincarnazione è chiamato metempsicosi.

Jeoseung Saja – Credit imagine: opera di LEEhyO0106 ©

In Occidente la Morte è raffigurata come un’entità spaventosa senza viso, al posto del quale c’è una profondità oscura. Indossa un lungo mantello nero e porta con sé una falce che serve per dividere il corpo dallo spirito.

Nella cultura coreana, invece, essa appare simile a un essere umano dalla carnagione pallida e gli occhi infossati. Si ritiene sia uno spirito che serve il Grande Re Yomna (염라 대왕 ), che governa il mondo ultraterreno. Il Tristo mietitore indossa un hanbok nero, indumento caratteristico dell’epoca Joseon, e un cappello nero chiamato gat ().

Viene denominato in molti modi: Tristo Mietitore, Sinistro Mietitore, Cupo Mietitore (in inglese Grim Reaper).

In Corea è noto come Jeoseung Saja  (저승 사자), che letteralmente si traduce in messaggero dell’aldilà. Infatti “Jeoseung significa “aldilà” – non è né il paradiso né l’inferno – “Saja” significa   “messaggero” o “inviato”.

Il lavoro del Jeoseung Saja è quello di guidare le anime nell’oltretomba, seguendo dei precisi ordini.  Negli ultimi anni il suo ruolo è stato umanizzato ulteriormente ritenendo che possa aiutare a risolvere qualche avvenimento sospeso del defunto.

Proprio con queste caratteristiche il Tristo mietitore viene rappresentato nel famoso drama: Guardian: The Lonely and Great God, meglio conosciuto come Goblin. Nel drama questa entità è interpretata dall’attore Lee Dong-wook che con il suo viso pallido, le labbra rosse e l’aria perennemente triste e imbronciata ha reso questo personaggio in maniera eccelsa.

Una Fan art del Tristo Mietitore (Lee Dong-wook) nel drama Guardian: The Lonely and Great God

In Goblin, il Tristo mietitore indossa abiti scuri e un cappello con falda larga che lo rende invisibile.  In realtà questo particolare non fa parte della narrativa tradizionale del Jeoseung Saja. La sceneggiatrice, Kim Eun-sook, ha avuto l’idea di unire al mito del Jeoseung Saja quello de “Il cappello del goblin o Dokkaebi Gamtu”.

Secondo la leggenda, infatti, se una persona indossa il cappello di un dokkaebi, diventerà invisibile.

La storia del Cappello del Goblin è commemorata addirittura in un francobollo della Corea del Sud.

La narrativa dei drama è ricca di storie che parlano del Tristo mietitore. Goblin forse è uno dei più famosi, ma molti altri K-drama di successo hanno sviluppato tale figura come ad esempio: Arang e The Magistrate, Black, 49 Days, oltre a una serie di film di successo chiamata “Along With The Gods

Nel drama Black è l’attore Song Seung-heon a interpretare il Cupo mietitore. Entra nel corpo di un umano e incontra una ragazza capace di vedere le ombre. Privo di qualsiasi conoscenza legata alle emozioni, il suo sarà un percorso di avvicinamento al mondo emotivo dell’uomo, fino a scoprire l’amore, la gioia e le sofferenze. Ancora una volta il mondo terreno e quello spirituale si intersecano, evidenziando che forse la linea che li divide non è così netta come si può pensare.

La più famosa storia popolare coreana riguardante il Jeoseung Saja è il mito del Generale Sineui che tentò di ingannare la morte. Questo è un mito che si è tramandato per anni oralmente. Solo in seguito, nel 1994, è stato registrato dall’ Università di Andong nel Journal of Historical Sites of Mt. Geumo.

Il generale Sineui era nato sul monte Geumo, situato nella contea di Chilgok. Quando il Jeoseung Saja andò da lui per portare via la sua anima, egli tentò di ingannarlo. Si trafisse la testa con uno spillo d’argento, che teneva lontani gli dei malvagi, e circondò la sua casa con alberi di arance. Questi frutti erano, infatti, considerati frutti del bene ed erano in grado di impedire il passaggio del Jeoseung Saja. Per ben quattro giorni il tristo mietitore  non riuscì a entrare nella casa del generale, fin quando trovò un varco attraverso un albero di pesco. Il pesco era considerata infatti una pianta malvagia  e grazie ad essa il  Jeoseung Saja riuscì ad entrare nella casa e si nascose sotto il pavimento.

Quando il generale andò a lavarsi la faccia, Jeoseung Saja balzò allo scoperto, lo colpì con un martello di ferro e lo trascinò negli inferi.

Il generale Sineui non si arrese e riuscì a sconfiggere i Gaekgwi (fantasmi che vagano tra gli Inferi e il mondo dei mortali), fuggendo poi dagli Inferi. Tornò così dalla sua famiglia, ma questa nel frattempo lo aveva già seppellito. Il temerario generale i ritrovò così sotto terra e morì di nuovo, soffocato.

La morale è che non si può combattere contro il destino e che la morte è ineluttabile per ogni essere vivente.

Una morale che non lascia spazio alla speranza. Anche se ci sono miti che si differenziano come quello, ad esempio, dell’isola di Jeju. Questo mito narra, infatti, di un uomo di nome Samani Bonpuli che riuscì a ingannare la morte per quarantamila anni. Un prolungamento dell’esistenza che però conduce allo stesso traguardo.

All’uomo non è permesso di varcare il confine e ritornare con la stessa coscienza al mondo terreno. Ha un modo però di entrare in dimensioni diverse per cercare di comprendere… è attraverso la fantasia e l’immaginazione. Scrittori e sceneggiatori, toccati dall’ispirazione, potrebbero essere in grado di alzare il velo della conoscenza.

In fondo il mito insegna che la Natura è regolata da leggi inesorabili, ma suggerisce anche che l’uomo ha nella propria coscienza un frammento sovrannaturale che sopravvive alla morte e che appartiene al Regno dell’Immortalità.

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Kumiho (구미호) – la leggendaria volpe a nove code

La creatura divora uomini della mitologia coreana, che aspira a diventare un essere umano

di Gabriele Discetti

La kumiho, o volpe a nove code, è un’animale mitologico della tradizione asiatica con caratteristiche fisiche e magiche differenti a seconda del Paese. La ritroviamo nelle leggende cinesi, giapponesi e coreane.

Quasi sicuramente le storie sulle kumiho sono giunte in Corea dalla Cina. L’animale compare, infatti, nei classici cinesi risalenti al III secolo come lo Shan Hai Jing.

In Corea le prime testimonianze a noi note risalgono al diciottesimo secolo. Questo ci porta e credere che la volpe a nove code fosse già parte del folclore coreano. Nel sedicesimo secolo, il poeta Jamgok, pseudonimo di Gim Yuk, in una poesia intitolata Vecchia volpe parla di una volpe che muta forma. È lecito pensare che si trattasse della volpe a nove code, sebbene il poeta non la chiami esplicitamente kumiho.

L’origine della volpe a nove code coreana è dunque ancora oggetto di discussione.

Già nel quattordicesimo secolo, sotto influsso cinese, la divulgazione delle leggende sulla volpe a nove code deve molto allo sviluppo della letteratura. Diffusione ulteriormente accentuata nel più recente periodo coloniale giapponese. In Cina e Giappone, infatti, le storie riguardanti le kumiho erano molto più diffuse e in Corea finirono col mescolarsi a storie di altre volpi mitologiche, come la volpe bianca. La figura di una volpe con nove code era però un’immagine molto più forte e sostituì tutte le altre. Oggi, la spinta decisiva che ha portato le kumiho all’attenzione del mondo occidentale è stata la cultura di massa, attraverso drama, manhwa e letteratura.

La leggenda vuole che quando una volpe vive mille anni, diventa una kumiho. La kumiho possiede poteri magici e può trasformarsi in un essere umano, di solito in una donna. Appare in molti racconti spaventosi, ma non è da considerare un’animale unicamente maligno. In una leggenda, una volpe a nove code si trasforma in una bellissima donna e si innamora di un uomo. I due vivono insieme, felici, per cento giorni, finché la volpe fugge via per sempre, così da poter riprendere le sue sembianze animali. A causa della loro natura infatti, le volpi, pur essendo in grado trasformarsi in esseri umani, non possono vivere per sempre come tali. In alcuni racconti le kumiho possiedono anche una sfera di piccole dimensioni, grande quanto una caramella e di colore blu. Essa è il simbolo del loro potere.

Una Kumiho rappresentata  dall’artista  Aurore – Credit – © Blackcat

Trasformarsi non è l’unico potere delle kumiho. Esse possono creare allucinazioni negli esseri umani, prendere possesso del loro spirito e mutare una persona che indossa una maschera nell’entità che tale oggetto rappresenta. Quest’ultimo potere può usarlo sia sugli altri che su se stessa. Una volpe può indossare, ad esempio, la maschera di una tigre e trasformarsi in essa per utilizzarne le doti combattive. Tuttavia, in qualsiasi trasformazione la kumiho conserva sempre qualcosa del suo corpo originario, come orecchie, code o segni in viso. Per tale motivo spesso la volpe viene scoperta. Nel racconto “Gumiho-ui byeonsin” (La trasformazione della kumiho) una volpe sostituisce la sposa durante un matrimonio, per poi essere smascherata dal marito, una volta nuda.

In “Hansiro gumihoreul ar-ananen cheonyeo”, (La fanciulla che scoprì una kumiho attraverso un poema cinese), invece, è l’odore a tradire la kumiho, riconosciuta dall’olfatto di un cane da caccia.

Nella maggior parte delle leggende, la kumiho ha una connotazione maligna. Oltre a ingannare gli uomini, esse si cibano della carne umana. Secondo il folclore coreano, se una volpe si astiene dal cibarsi di carne umana per mille giorni, diventerà un essere umano. Questa particolare caratteristica è stata modificata nei drama moderni. Ad esempio in Grudge: The Revolt of Gumiho, l’animale diventerà umano se chi scopre la sua vera identità e mantiene il segreto per dieci anni. Anche il drama My Girlfriend is a Gumiho racconta di una Kumiho. Qui la volpe a nove code salva la vita a un giovane, inserendogli nel petto la sua sfera magica. La kumiho inizierà a seguirlo ovunque per proteggere la sfera e il giovane, temendo per il proprio fegato, asseconderà i desideri dell’affascinante creatura.

In The Thousandth man una kumino per diventare umana deve mangiare mille fegati di altrettanti uomini innamorati di lei, entro mille anni. L’anno successivo in  Gu Family Book la volpe, in questo caso un kumiho maschio, deve aiutare gli umani per cento giorni, mantenendo segreta la propria identità per poter diventare umano e  vivere con la sua amata.

Ultimo in ordine di tempo è il drama del 2020 Tales of nine tailed. Anche qui, come in Gu Family Book, il protagonista è un kumiho maschio (Lee Dong-wook) condannato a punire i suoi simili rei di crudeltà verso gli umani.

Oltre a cibarsi di fegati, nella tradizione la kumiho è spesso ritratta mentre vaga nei cimiteri per strappare e mangiare il cuore dei defunti.

Insomma, pur non essendo un mostro amico dell’uomo, nella mitologia coreana la volpe a nove code è spinta dalla volontà di diventare un essere umano. Lo strano e ironico destino della kumiho è di aspirare a trasformarsi per sempre nella sua stessa preda.

Molti film, serie tv e manhwa sono stati dedicati alle kumiho. Oltre ai drama già citati abbiamo, per esempio, il manhwa del 2010 di Kim Yeong-mi “Oh, My 로맨틱 구미호” (Oh, mio romantico kumiho). Storia che stravolge la visione comune della kumiho che si trasforma in donna e inganna gli uomini. Qui la protagonista, Ji-Eun, è fidanzata con Gyuho che ricambia il suo amore e vuole sposarla, soprattutto perché adora la fragranza del suo fegato. Gyuho è, infatti, proprio una volpe a nove code e quando la ragazza scopre il suo segreto, è combattuta. Non sa cosa scegliere: scappare via o rischiare il suo fegato per amore? Nessuno spoiler!

Fonti: (1), (2), (3), (4)

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Dokkaebi (도깨비), il goblin coreano

Dalla tradizione coreana, una creatura leggendaria dai poteri straordinari

di Gabriele Discetti

Il Dokkaebi o Tokkaebi (도깨비) è un essere mitologico del folclore coreano. È chiamato anche Dochaebi, Dokgakwi, Dokgapyi, Heoju, Heoche, Mangryang e Yeonggam. In occidente il Dokkaebi è spesso identificato con la più familiare figura del goblin.

Esistono testimonianze del Dokkaebi (o goblin coreano) in molti documenti del periodo dei Tre Regni (18 a.C. – 660 d.C.). Quindi a quell’epoca la credenza riguardo i goblin coreani era già ben nota a tutta la popolazione della penisola coreana.

La prima attestazione scritta di un racconto riguardo i goblin risale al Samguk yusa (Memorie storiche dei tre regni) redatto nel X secolo. Questo racconto ci mostra alcune delle doti straordinarie dei goblin:

“Durante il regno di Silla, il figlio di re Jinji, Bihyeong, conosceva un goblin di nome Gildal. I due si incontravano tutte le notti sulle colline a ovest del fiume Hwangcheon. Venuto a sapere ciò, con l’intenzione sfruttare le doti del suo amico goblin, re Jinji ordinò al figlio di costruire un ponte sul fiume. Così, in una sola notte, Bihyeong e Gildal costruirono il ponte che chiamarono Gwigyo, cioè ponte fantasma. Come riconoscimento il goblin fu nominato guardiano del tempio della città, ma Gildal non voleva questo compito, così si trasformò in volpe e fuggì via. Sentendosi tradito, Bihyeong lo inseguì e lo uccise. Fu così che Bihyeong cominciò a essere temuto da tutti i goblin.”

I Dokkaebi rappresentati nell’opera dell’artista Song Kang – Credit Song Kang Art – © Song Kang

Il Dokkaebi non è una creatura completamente malvagia. Possiede poteri soprannaturali che usa a volte per aiutare gli umani e altre per giocare brutti scherzi o punire coloro che hanno commesso atti malvagi.

Nella mitologia coreana il Dokkaebi è rappresentato con le sembianze di un folletto accompagnato da alte fiamme di colore blu. È capace di rendersi invisibile, indossando un cappello chiamato gamtu (감투) e di compiere magie con il suo bastone magico, il bangmang-i (방망이) .

Il goblin può avere o meno corna, occhi sporgenti, bocca grande, denti affilati, corpo peloso e lunghi artigli. L’unica certezza sul suo aspetto fisico è che possieda una sola gamba, troppo lunga per indossare vestiti e che per tale ragione si muova saltando. Tuttavia non mancano rappresentazioni di Dokkaebi a due gambe, seppur rare. Un racconto popolare ci conferma il fatto che il Dokkaebi avesse, in genere, una sola gamba.

“Un giorno un giovane incontrò un goblin mentre si recava al mercato. Il goblin, abile lottatore di ssireum, lo sfidò a un combattimento di questa lotta coreana nella quale vince chi riesce a far cascare l’avversario. Tuttavia il ragazzo riuscì far cadere più volte il goblin, sfruttando il fatto che avesse una sola gamba.”

Questo racconto serviva a tramandare la strategia per battere un Dokkaebi.

Il ssireum o ssirum (씨름) è una lotta della tradizione coreana nata nel quarto secolo e che viene praticata ancora oggi durante le feste.  Si lotta all’interno di una buca piena di sabbia, indossando una particolare cintura. Afferrando questa cinta, i contendenti, grazie all’uso delle gambe, devono riuscire a portare a terra qualsiasi parte del corpo dell’avversario sopra il ginocchio.

Il goblin coreano non ha differenze di sesso ed è sempre identificato nei racconti come un maschio. Ci sono varie tipologie di dokkaebi perché la loro natura dipende da vari fattori. I goblin sono condizionati dal luogo in cui si trovano, dalle persone che incontrano e finanche dagli oggetti che li circondano. L’influenza vale anche al contrario. Grazie ai loro poteri, infatti,  i dokkaebi possono apportare cambiamenti nei luoghi, nelle persone e negli oggetti.

Il dokkaebi non ha un luogo prediletto in cui vivere. Spesso lo si può trovare sia nei racconti ambientati nelle campagne, sia in quelli in montagna, nelle valli, nei templi o nelle abitazioni. Preferiscono i luoghi bui, solitari e compaiono soprattutto di notte e nelle giornate di pioggia. Nei racconti popolari, l’arrivo della luce dell’alba e il cantare del gallo sono i momenti in cui i goblin scompaiono.

Caratterialmente i goblin sono scontrosi, amanti delle lotte e opportunisti, perché approfittano dell’ignoranza delle persone per ingannarle. Anche se non hanno distinzione di sesso, grazie ai loro poteri i goblin sono in grado di assumere sembianze femminili. Eppure i dokkaebi tengono molto al rispetto delle promesse. Amano cantare, ballare e suonare.

Il Goblin impersonato da Gong Yoo nel drama Guardian: The Lonely and Great God

Il dokkaebi è ancora vivo nella coscienza dei coreani. La creazione dei goblin nella loro mitologia ci permette di comprendere meglio l’idea che questo popolo ha delle creature sovrannaturali. I goblin non devono essere considerati dannosi per gli esseri umani, nonostante il loro comportamento. I dokkaebi non vogliono creare problemi agli uomini. Per tale motivo spesso i coreani si rivolgono ai goblin per avere una sorte fortunata. Ad esempio, per avere una pesca fruttuosa, le comunità di pescatori venerano, attraverso rituali, i goblin dell’acqua. Tuttavia può accadere che ai dokkaebi venga addossata la colpa di incendi e malattie. Quando ciò accade, si eseguono delle cerimonie per scacciarli dai villaggi.

Certo il goblin della tradizione non sembra avere molti punti in comune con il fascinoso Kim Shin del drama. Eppure è interessante notare che il personaggio impersonato da Gong Yoo ha alcune caratteristiche che ricordano il goblin che gli antenati coreani adoravano e amavano. Il goblin della sceneggiatrice Kim Eun-sook, infatti, ama il grano saraceno, rende ricche le persone che lo circondano, è spaventato dal sangue e talvolta è impulsivo. Tutti aspetti che richiamano il dio “Goblin”,  che appare nelle credenze popolari . Anche il fuoco blu che circonda la spada che gli trafigge il torace richiama le fiamme blu che seguono il goblin del folclore coreano.

Fonti: (1), (2)

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#ALIVE (#살아있다)

Un horror zombie inaspettato. Un racconto introspettivo che mostra anche l’aspetto umano di un’apocalisse.

di Donatella Perullo

Titolo: #ALIVE (#살아있다)

Genere: Horror/zombi

Dove vederlo: in streaming su Netflix

Sceneggiatura: Cho Il-hyung e Matt Naylor

Paese di produzione: Corea del Sud

durata: 1 ora e 38  minuti

Anno di trasmissione in patria: 2020

Main Cast:

Yoo Ah-in (Joon-woo)

Park Shin-hye (Kim Yoo-bin)

Supporting Cast

Lee Hyun-wook (vicino di casa)

Oh Hye-won (una poliziotta)

Jeon Bae-soo (soccorritore)

Una stanza immersa nella penombra. La luce di un giorno assolato filtra a malapena attraverso le tende. Un ragazzo dorme vestito, circondato da computer e apparecchiature elettroniche. Si è lasciato cadere sul letto a notte fonda, dopo ore trascorse dinanzi a un video. È un campione di giochi online, bravo con il joystick ma imbranato nelle attività pratiche e nella vita quotidiana. Il telefono suona e il giovane Joon-woo (Yoo Ah-in) si sveglia a stento. Sussulta nel rendersi conto che sono le dieci. Il suo primo pensiero è chiamare a gran voce la mamma, ma nessuno gli risponde. È solo. Circondato dal silenzio, si alza, si lava, cerca qualcosa da mangiare, beve, poi sul tavolo del soggiorno trova un messaggio di sua madre. “Avevamo fretta, quindi non c’è niente da mangiare” recita il biglietto “Compra qualcosa a tua sorella. Scusa, figliolo, ci vediamo dopo! Ti voglio bene, mamma.

Joon-woo sorride, ma ignora le parole della madre e riprende la partita online lasciata in sospeso la notte precedente. I compagni di gioco iniziano a interagire, finché uno di loro grida di correre a vedere la televisione perché sta succedendo qualcosa di strano.  Joon-woo va in salotto e mentre ascolta le notizie, dalla strada lo raggiungono grida e un angosciante frastuono. Si affaccia e dinanzi a lui si apre uno scenario apocalittico. Cosa sta accadendo? Perché c’è chi fugge e chi assale gli altri, tentando di morderli? Stordito e sorpreso, il ragazzo apre timidamente la porta di casa. Stravolto, un vicino (Lee Hyun-wook) ne approfitta per catapultarsi nell’appartamento e barricarsi con lui. Il ragazzo cerca di mandarlo via, ma quello lo scongiura di lasciarlo restare al sicuro. Joon-woo rifiuta, ma gli accorda il favore di fargli usare il bagno prima di andarsene. Grave errore.

Poco dopo, infatti, l’uomo ha una crisi, si muta in un famelico zombi e lo assale. Il giovane riesce a stento a liberarsene e poco dopo riceve un messaggio vocale da suo padre che gli dice disperato: “Devi sopravvivere!”. È proprio questa preghiera a divenire il fulcro dell’intero film.

 #ALIVE catapulta velocemente gli spettatori nell’epidemia zombi, senza dar tempo di porsi domande su cosa l’abbia originata. L’attenzione di chi guarda è rapita da altro e anche se non mancano i momenti adrenalinici, molto è affidato all’aspetto introspettivo della storia. Un racconto incredibilmente efficace che narra la lotta per la sopravvivenza di un ragazzo campione nei combattimenti virtuali, ma impreparato alla dura realtà tanto da apparire goffo. Novello Robinson Crusoe, Joon-woo è segregato nell’appartamento di un condominio alveare che diviene un’isola deserta, perduta in un mare di orrore e morte.

Il soggiorno, affacciato su un cortile che diviene il centro del mondo, appare come un palcoscenico. Un proscenio dal quale Yoo Ah-in mostra tutti i sentimenti che stravolgono il suo personaggio. Confinato tra quattro mura, senza più cibo, privo di qualsiasi possibilità di contattare il mondo esterno, ben presto il ragazzo inizia a essere terrorizzato dalla solitudine e dall’orribile destino che gli sembra sempre più ineluttabile. Così Joo-woo passa dalla voglia di lottare, alla disperazione, dalla rabbia incontenibile alla paura, dalla  imbambolata sorpresa all’audace reazione, dalla resa alla determinazione. Quando per lui la capitolazione appare la sola via d’uscita, ecco che entra in scena Kim Yoo-bin (Park Shin-hye). La misteriosa dirimpettaia determinata e armata di ascia, restituisce al ragazzo la forza di non arrendersi.

Di lei non sappiamo nulla se non che è stata un’alpinista, ma leggiamo la forza nel suo sguardo e l’algida determinazione. Rappresenta la speranza e la forza d’animo, questo personaggio. La luce che guida Joon-woo attraverso i meandri dell’inferno, verso la luce.

Pur non conoscendosi, i due giovani si scambieranno da subito gesti di umanità e altruismo. Generosità istintiva che rappresenta un faro nella tempesta della disperazione. I due si sosterranno a vicenda e condivideranno la lotta contro gli zombi bramosi della loro carne.

Privo quasi totalmente di cliché e forte di effetti speciali degni delle migliori pellicole di genere, Alive è un film che consiglio di non perdere. Valore aggiunto è senza dubbio la presenza di Yoo Ah-nin. Attore che ha già dimostrato grande talento nel film Burning–l’amore brucia e in drama imperdibili come Chicago Typewriter e Secret Love Affair.

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Non meno incisiva l’interpretazione di un’inedita Park Shin-hye. Molto amata da alcuni e detestata da altri, l’attrice è convincente e ben immedesimata nel ruolo della determinata survivor. Ammetto di averla apprezzata anche in The Heirs, accanto a Lee Min-ho, nonostante la sua recitazione fosse ancora immatura. Confesso di averla apprezzata di più in Memories Of The Alhambra, al fianco di Hiun Bin. Qualsiasi sia il parere che avete su di lei, in #Alive la troverete del tutto diversa dai ruoli precedenti e ben immedesimata nella parte.

La sceneggiatura di #Alive è la rivisitazione di quella di “Alone”, pellicola made in U.S.A. del 2019 dello sceneggiatore hollywoodiano Matt Naylor, film del quale potete vedere il trailer QUI. L’autore l’ha riadattata insieme al regista sudcoreano Cho Il-hyung che ha poi anche diretto #Alive. 

La mia valutazione
8.7/10
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